Cos’è il disturbo post-traumatico da stress?
Le informazioni che seguono hanno l’obiettivo di fornirle alcune indicazioni generali e non dovrebbero essere considerate come strumenti ai fini dell’autodiagnosi. Questa indicazione è indispensabile in psicologia perché tutti noi possiamo avere in qualche misura, ansia, depressione, ecc., ma questo non significa automaticamente che “siamo malati d’ansia” o che “siamo malati di depressione”. Possiamo considerare superata la linea di confine tra salute e malattia psichica quando il disagio che sperimentiamo ci impedisce di essere soddisfatti della nostra vita relazionale e professionale. Per ulteriori approfondimenti su questo e altri temi di eventuale suo interesse, la invitiamo a consultare un professionista esperto.
Il disturbo post-traumatico da stress (DPTS), detto anche Post-Traumatic Stress Disorder (PTSD) può essere definito come “l’insieme delle intense sofferenze psicologiche che conseguono ad un evento traumatico, catastrofico o violento”. E’ possibile parlare di PTSD quando uno o più eventi traumatici hanno generato la presenza di sintomi che impediscono al soggetto la serenità nelle relazioni con se stessi e con gli altri.
E’ necessario tenere presente che una esperienza critica non genera automaticamente un PTSD (vedi concetto di “resilienza”, che in psicologia consiste nella “capacità, diversa per ogni individuo, di resistere ad una determinata sollecitazione”).
La complessità che è possibile osservare durante il lavoro clinico ci permette di affermare che è altamente improbabile che due persone possano rispondere in modo identico allo stesso tipo di sollecitazione stressante: anche le ricerche sui gemelli hanno messo in evidenza l’assoluta unicità dell’individuo, una individualità concreta che viene espressa nel DNA, il quale cambia continuamente in base alle nostre esperienze personali.
E’ infatti possibile che lo stesso evento traumatico possa danneggiare maggiormente una persona che viene considerata “forte” rispetto ad un’altra ritenuta “debole”: se l’evento colpisce un’area della nostra vita che è più vulnerabile, il suo potenziale distruttivo è maggiore.
La PTSD è conosciuta anche come “nevrosi da guerra”, poiché fu inizialmente osservata in soldati che erano stati coinvolti in combattimenti particolarmente cruenti o in situazioni belliche nelle quali avevano sperimentato circostanze esistenziali particolarmente drammatiche.
Si tratta di un disturbo che può essere considerato “la possibile risposta di un soggetto ad un evento critico abnorme (terremoti, nubifragi, incidenti stradali, atti di violenza, ecc.)” e che può essere trattato in sede terapeutica con strumenti specifici, a beneficio della vittima e – nel caso – dei membri della famiglia maggiormente coinvolti.
I disturbi che la maggior parte dei pazienti che soffrono di PTSD sperimentano sono: 1) flashback: intrusioni immaginali improvvise (diapositive o “filmati” associati a emozioni negative) dell’episodio traumatico che si impongono continuamente alla coscienza, sia in stato di veglia che durante il sonno; 2) incubi: il soggetto rivive l’esperienza traumatica durante la sua attività onirica, con conseguente disturbo nella sfera del sonno; 3) stordimento e confusione mentale; 4) evitamento: il soggetto tende ad evitare tutto ciò che è associabile all’evento traumatico, vivendo in alcuni casi una vita a metà; 5) iper-attivazione: il soggetto diventa particolarmente irritabile, ansioso e aggressivo.
Merita particolare attenzione il fatto che i PTSD in genere cercano di trovare sollievo nell’uso (e molto spesso nell’abuso) di sostanze psicoattive quali alcol, droghe e psicofarmaci. La condizione psicologica del PTSD è in genere associata al sentirsi in colpa per ciò che è accaduto a causa di ciò che il soggetto ha fatto o meno durante la circostanza traumatica, senso di colpa che può avere la sua origine anche dall’essere sopravvissuti all’evento traumatico mentre persone significative non hanno avuto la stessa possibilità.